La Quarantena ce la ricorderemo e ce la racconteremo per un po’: un letargo forzato, in contrasto con la primavera che con indifferenza là fuori prosegue a farsi i fatti suoi.
Nella prima settimana di lockdown (anche questa parola, appena imparata, non la scorderemo più) ho avuto il piacere di leggere i tarocchi in remoto a una delle mie muse, Petunia Ollister (all’anagrafe Stefania Soma), autrice, tra le altre cose, di fotografie che abbinano colazioni e libri, in composizioni così attente ed armoniose che fanno brillare gli occhi.
Petunia cura la rubrica La Marziana, che appare tutte le domeniche sulle pagine de La Stampa, e ha dedicato quella del 15 marzo 2020 ai tarocchi.
In quelle righe ci sono anche io: le potete leggere qui sotto.
Grazie Petunia, per l’articolo e per le foto che rendono più bello il mondo!
I TAROCCHI - Petunia Ollister
Tutto è cominciato con la zia di una mia zia. Si chiamava Maria.
Ricordo i pomeriggi infantili passati a osservare i suoi gioielli, le sue mani curate e le unghie laccate di rosso. Maria faceva la cartomante, leggeva i tarocchi. Per niente superstiziosa, razionale fino alla noia, sono però cresciuta con la ferma convinzione che le carte fossero un’interessante summa simbologica. E tutte le volte che i tarocchi hanno incrociato la mia strada li ho lasciati parlare in libertà.
Nei giorni strani e sospesi che attraversiamo mi sono imbattuta nei ricordi di una mostra sui tarocchi vista al Museo Ettore Fico, in cui si parlava anche di tarocchi piemontesi.
Non ne sapevo molto fino a qualche giorno fa, quando, per un’altra fortunata serie di eventi, mi sono ritrovata a farmi leggere le carte, rigorosamente a distanza, da Clara Aloi, meglio nota come la Claromante.
Clara cresce nel Roero ma inizia a girare molto presto per il mondo, soprattutto l’Asia, per motivi di studio e di lavoro. In Tibet si mette alla ricerca di un indovino cinese che le predica il futuro e invece trova un farmacista italiano che estrae dalle sue tasche un mazzo di tarocchi e la introduce alla nobile arte che la porterà a leggere le carte fino MoMA di New York.
Clara mi ha raccontato che il suo primo mazzo di tarocchi sono stati un dono del padre che non aveva nessuna intenzione di fare di lei una cartomante, ma una giocatrice di carte.
Faccio qualche domanda e in poco tempo mi spiega che i tarocchi piemontesi, una variante dei celeberrimi marsigliesi, sono uno dei giochi di carte più antichi d’Italia e che sono ancora usatissimi nelle piole di tutto il Piemonte.
Come i marsigliesi i tarocchi piemontesi sono 78, ma a differenza dei cugini d’oltralpe sono a due teste – il che consente di poter giocare senza dover girare le carte – e usano i numeri arabi invece di quelli romani.
Ci sono più di cento modi diversi di giocare ai tarocchi piemontesi, mentre se si decide di ascoltarli bisogna avere ben chiaro in testa che i tarocchi non prevedono il futuro, ma se ben disposti verso di loro, forniscono una possibile chiave d’interpretare il proprio presente.
[Articolo integrale apparso su La Stampa del 15 marzo 2020 per la rubrica La Marziana.]
E’ la seconda volta che appaio su un giornale insieme ai miei tarocchi.
La prima era stata un’intervista per Art Tribune nel settembre 2019, che puoi leggere qui.